09 gennaio 2006

IL GIORNO DOPO


Il giorno dopo aver tracciato il versante del Baldo vista lago non E' un giorno normale.
Il giorno dopo aver surfato attraverso "tubi" di rovi con fresca in abbondanza da permetterti evoluzioni da surf da onda non PUO' essere un giorno normale.
Il giorno dopo esserti sentito padrone incontrastato della montagna, del tuo mezzo e del tuo fisico non mi sembra vero SIA un giorno normale.
Il giorno dopo esserti tuffato nella discesa più bella mai fatta, dopo aver sentito le emozioni sfuggirti di mano, dopo aver quasi pianto per l'emozione alzando lo sguardo all'orizzonte VOGLIO CHE DIVENTI UN GIORNO NORMALE!

Siamo in attesa parta la seggiovia Prà Alpesina ed intorno a noi ci sono praticamente solo ragazzi con la tavola ai piedi (una decina). Le piste non sono state battute e fremono per surfare un pò di quella neve fresca. Si scambiano battute sul "muro" da evitare perchè ognuno di loro in realtà vuol essere il primo a sverginarlo. Luca ed io ci guardiamo. Siamo gli ultimi della fila e siamo felici. Felici perchè nessuno di questi ragazzi (non me ne vogliano) sogna, nessuno di questi ragazzi vive il rapporto Baldo/Garda come lo viviamo noi, nessuno cerca Emozioni con la E volutamente maiuscola. Egoisticamente godo, ma spero che anche loro, un giorno, scoprano l'Essenza.

Siamo pronti per il tuffo. Sono 1500 mt di dislivello da affrontare e l'adrenalina scorre a fiumi.
Di solito quando surfo non penso a nulla, mi rilasso, lascio che la tavola galleggi e che la mia mente si liberi completamente. Qui non ci riesco. Qui surfo verso il Benaco (Lago di Garda per i meno saputi), altro che Lake Tahoe (con tutto il rispetto) cazzo!
Questo è il mio lago e oggi posso dire che questa è anche la mia montagna. Che coppia!
Si arriva fino a San Michele (1° troncone) con la tavola ai piedi e non sembra vero, ci fosse stata ancora un pò di neve saremmo arrivati davvero a tuffarci nel Lago.

Ogni curva è una scarica elettrica, un'immensa dose di potenza che mi entra in corpo e mi fa volare. In questa discesa raggiungo lo stato fluido di cui tanto ho sentito narrare ed oggi finalmente so cos'è!

Sono un tutt’uno con la tavola, la neve e l'acqua davanti a me, sono uno e trino allo stesso tempo.
Oggi non mi ferma nessuno, nemmeno una lamina spezzata.

Ciola

AVVENTURA (29.12.2005)

Il monte. Una montagna.
Da cima a fondo. Da sopra a sotto. Da nord a sud.
Da 1900 a 500 direbbero i saputi ..E 1400 di dislivello sono tanti, saprebbero i saputi.
Quattro panorami e nessun confine.
La vetta. La neve. Il lago. Il bosco.
Tutto e tutti in un volta, come in una cartolina senza bordo, come in un immenso dipinto trompe l’oeil.

Le scie diranno “due artisti” mentre il castello di laggiù suggerirà “due cavalieri”.
Io, noi, questa volta preferiamo definirci due “Avventurieri”.

Nei sogni di bambino, in quelli in cu arrampichi sugli alberi o ti lanci in furoreggianti scorribande in bicicletta vivi Avventura a quell’età non la cerchi, è lei a trovarti.
Forse, a distanza di anni ed ancora una volta… Ci ha trovato lei.
Un pendio immacolato, una lingua di terra rubata al bosco e non battuta da oltre un decennio.
Due linee come meglio riuscirebbero solo ad un impressionista su una tela, veloci, istintive, volutamente imprecise. Silenziosa ed elegante solitudine.
Via via via.. Fino a quando ci è possibile, fino a quando due tracce di chissà chi passato chissà per dove ci trovano alla base di una baita metà pietra e metà legno e ci conducono lungo IL SENTIERO.

L’avventura è in quelle tracce, ci ha cercato, ci ha trovato, ci ha considerato all’altezza, pronti per lei e per ciò che vuole mostrarci. Ora ci porta con se, padrona, in una foresta di rovi; un sentiero strettissimo e profondamente ricoperto di neve, avvolto da una fitta mediterranea "savana".
Unica via di fuga e di discesa, un tunnel di rovi e rami intricatissimi, enormi arbusti che sembrano prendere vita ricurvando verso l’interno del sentiero stesso ed avvolgendo su se stessi.
Giusto lo spazio per passare o forse meno, in una straordinaria ed epica battaglia contro i rovi, tra frustate di rami e spine che graffiano dove e come possono.
La parte più selvaggia del Baldo ci sfida e gioca con noi, senza esagerare.

Poi, oltre la foresta di rovi, il bosco.
Silenzioso ed animato dalle sole tracce di chissà quanti e quali animali.
Il bianco a coprire ogni altro colore, il marrone ed il verde pini, i ciottoli grigi della strada.
Solo bianco e neve ovunque si volti lo sguardo.
L’ambiente circostante, la morbida pendenza e la poca velocità di questo tratto creano la sensazione di essere trainati più che di scivolare.
La quota lentamente si abbassa , la neve a terra diventa poca e le tavole digeriscono a fatica il brivido dei sassi sulla soletta e sulle lamine.

Avanti così fino all’ultimo bivio. Fino all’ultimo viottolo percorribile.
Ultimi metri d’avventura con il cuore in sospensione sopra un arancio tramonto gardesano.
I cinque sensi stimolati allo spasimo, tra profumi di resina e di verde nordico prima e mediterraneo poi. Sapore di neve.
Tatto e contatto fisico a volte dolce a volte troppo intenso con gli elementi.
Soffusi fruscii e sublimi silenzi seguiti dal rumore di arbusti involontariamente spezzati o dal sinistro grattare della tavola sui sassi.
Scure ombre e chiaroscuri tra luci accecanti e bagliori d’acqua sullo sfondo.

Immagini dell’Isola che non c’è per due Peter Pan del freeride.

A presto, Avventura.
L.